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martedì 7 agosto 2012

Pensieri sconnessi sul disastro che incombe e sugli scarafaggi che fanno ciao.

Ci sono notti in cui i rumori della natura ti portano risposte inattese. Niente conta davvero: non sei che un punto in un disegno caotico che tende al disastro. Che tu vada a lavoro, che decida di buttarti sotto un treno o da un grattacielo, non ha importanza. La vita andrà avanti comunque: le civiltà si estingueranno, l'evoluzione proseguirà indefessa nel suo tortuoso viaggio di imperfetto miglioramento e gli scarafaggi saranno sempre lì a ridere di noi, ricordando il giorno in cui il figlio dell'uomo si ribellò a lui, annientandolo.

Il frinio delle cicale fuori dalla finestra ti ricorda che la vita non è un insieme di numeri, non è un grafico in inarrestabile discesa. La vita è natura, è aria, acqua e terra, è carne e sesso, è odore e sapore, tatto e udito. Puoi vivere senza uno schermo che ti dica come essere, come vivere, cosa pensare e cosa possedere per essere felice, ma non puoi vivere senza ossigeno con cui riempire i polmoni. E allora ti chiedi il perché di quelle ansie, di quei problemi che ti hanno divorato l'anima. Perché sono lì? Perché lasci che ti posseggano? Perché non lasci semplicemente che volino via come aquiloni senza un proprietario che li tenga legati a se?
Forse perché siamo tanto dipendenti da ciò che ci affligge, quanto lo sono le nostre afflizioni da noi: in un grigio pomeriggio ventoso, l'aquilone senza un bambino non è che una forma di carta legata ad un filo. Per il bambino senza un aquilone, la giornata di vento non è che una fottuta giornata di vento.
Ma in fin dei conti, c'è sempre la Playstation!
M.B.

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