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domenica 4 ottobre 2015

Imago post-mortem

4.10.15

Qualche giorno fa, scorrendo le impostazioni del mio profilo Facebook, mi ritrovo davanti una voce che non avevo mai visto: contatto erede.
Incuriosito dalla strana dicitura (più propriamente avevo una faccia da WTF) decido di cliccare per approfondire la questione e Facebook mi spiega: "un contatto erede è una persona a cui affidi la gestione del tuo account nel caso in cui tu venga a mancare".
All'inizio la cosa fa strano, ma riflettendoci bene ha un senso: quando ci siamo iscritti a Facebook (nel mio caso ormai sette anni fa) pensavamo di iscriverci semplicemente ad un nuovo social network, un novello myspace da utilizzare per condividere qualche stronzata e perdere un po' di tempo ritrovando i vecchi amici e compagni dell'asilo e delle scuole elementari, ma nel frattempo il mondo è cambiato e, che lo vogliamo o no, Facebook è cresciuto intorno a questo cambiamento, diventando il depositario della nostra identità digitale.

Un estratto dalle FAQ di Facebook sull'argomento

Mi ricordo nell'era pre-Facebook quanto fosse strana l'idea di mettere online informazioni personali: al tempo facevo parte di alcuni forum (qualcuno se li ricorda? Ormai sono diventati come delle piccole riserve per comunità digitali in via di estinzione...) ed uno in particolare, nel quale ero molto attivo, era quello di Telefilm Magazine: lì si creò una comunità molto attiva e importante, nella quale sono nate grandi amicizie, qualche amore e legami che permangono ancora oggi che il forum non esiste più da anni.
Un giorno uno dei membri del forum se ne esce con l'idea di un topic nel quale esortava i membri della comunità a parlare di sé e a farsi vedere in video pubblicando una foto. Per molti era strano, quasi imbarazzante mostrarsi in una realtà nella quale la propria identità era sempre stata definita da un avatar (il più delle volte l'immagine di qualche personaggio di una serie tv o di un cartone animato) e da un nickname (il mio era aliasmike, combinazione del mio nome con quello della mia serie preferita del momento).
A ripensarci oggi ci si rende conto di quanto il senso del pudore digitale sia mutato in appena un decennio.
Ricordo che quando Facebook iniziò a farsi strada nella mia comunità di amici io per mesi evitai di iscrivermi. Qualche volta ero capitato nella schermata di iscrizione, ma alla richiesta dei dati personali, di quel nome, cognome e data di nascita mi bloccavo e chiudevo la pagina: quella domanda mi pareva scandalosa e quasi eretica e mi era ancora più insopportabile per il modo in cui veniva fatta, lì, in homepage, alla luce del sole, come fosse la cosa più scontata sulla faccia della Terra.
Oggi Facebook conosce il mio credo politico e religioso, le mie preferenze sessuali, conosce i miei locali preferiti, tutti i film che ho visto e tutta la mia rete di amicizie (che, tranne per poche eccezioni, ha nella dimensione digitale una parte piuttosto importante).
Se dieci anni fa pensai delle settimane prima di pubblicare la mia foto in quel famoso forum, oggi pubblicare una foto in rete è una azione quasi automatica, quotidiana, una cosa data per scontata.

Non era così sbagliata insomma quella mia diffidenza da Facebook: in qualche modo avvertivo che quella non era una semplice iscrizione ad un sito Internet che magari, come myspace, era destinato ad estinguersi nel giro di un decennio.
No, come dicevo poc'anzi, Facebook è oggi a tutti gli effetti il depositario della nostra identità digitale: nel corso del tempo è uscito lentamente dalla propria dimensione per proporsi come intermediario nell'iscrizione ad altri siti web (quel tasto "Iscriviti con Facebook" non è solo un modo veloce di risolvere una pratica odiosa come l'iscrizione ad un sito, ma è anche e soprattutto una delega che noi diamo a Facebook e lo facciamo a cuor leggero, senza renderci troppo conto delle conseguenze che ne derivano), come piattaforma di pagamento, come principale posto in cui essere per esistere, assumendo una predominanza tale nel mondo di internet e nella società in generale da non poter essere ignorato (per quanto in molti cerchino di sminuirne l'importanza).
Zuckerberg lo sa e, conscio del proprio potere, prova ad estenderlo ancora, proponendosi come garante della nostra immagine dopo la morte.
Facebook insomma non più solo come luogo di vita e di scambio sociale, ma anche come un grande cimitero on-line nel quale ricordare, celebrare e mitizzare la figura di chi non c'è più.

Ma credo che ci sia dell'altro: quello della vita eterna è sempre stato uno dei sogni dell'umanità. Un sogno che la scienza non ha ancora reso realtà, ma che ha sempre affascinato e che ha sempre avuto una certa importanza in tutti i modi di narrare il fantastico, dalla narrativa alla cinematografia.
Anch'io nel mio piccolo, ho scritto un racconto sull'argomento: in "L'Ultima Battaglia" (racconto edito alcuni anni fa da Eterea e che presto tornerà disponibile in una nuova versione su questo blog) narravo di un mondo nel quale l'uomo, grazie alla tecnologia, era riuscito ad andare oltre la morte, digitalizzando la propria coscienza e backuppandola di corpo in corpo.
La domanda che faceva da sfondo alla storia era: il fatto che in un dato momento dopo la mia morte esista una persona con il mio stesso aspetto fisico, il mio nome, i miei ricordi, la mia forma mentis, significa veramente che io sono ancora vivo ed ho battuto la morte? Quello sono davvero io o è un'altra persona i cuoi frammenti di me riecheggiano nella sua mente come in un sogno?
La tecnologia ci farà esistere in eterno o sarà l'ennesima e la più grande delle menzogne che l'uomo ha raccontato a sé stesso?
In futuro potrebbero nascere delle aziende dedicate a questo preciso compito: immaginate di pagare una sorta di assicurazione, non sulla vita, ma sulla morte. Paghi un prezzo esiguo ogni mese, per assicurarti che la tua identità digitale venga preservata e curata dopo il tuo decesso.
Nella società dell'immagine, nella quale apparire è una parte inscindibile dell'essere e dell'esserci, anche questo può essere un primo passo verso l'immortalità?

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