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lunedì 30 luglio 2012

La lotta dell'io nell'era dell'immagine - la mia recensione di "Tarantola" e "La pelle che abito"

30.7.12
***DOPPIA RECENSIONE***
contiene spoiler sulla trama del libro "Tarantola" di Therry Jonquet e del film "La pelle che abito" di Pedro Almodovar

Nota dell'autore: nell'adattamento dal libro al film sono stati cambiati molti nomi. Per convenzione, mi riferirò ai personaggi con i nomi usati nel romanzo.


Siamo come siamo o siamo come appariamo?
Quanto il modo in cui appariamo cambia il modo in cui gli altri si rapportano a noi?
E quanto il modo in cui gli altri ci percepiscono cambia il nostro modo di approcciarci alla realtà, la nostra considerazione di noi stessi e la nostra personalità perfino?
Mai tema è stato più attuale di questo nell'era dell'immagine e dell'apparenza, delle celebrità dal volto paralizzato in una maschera di eterna giovinezza o che al contrario cambiano i propri connotati o il colore della pelle, alla ricerca di un irraggiungibile ideale di perfezione.

Per quanto le opere di Jonquet e Almodovar abbiano una matrice comune (il film "La pelle che abito" è liberamente tratto dal libro "Tarantola"), non si sovrappongono, portando avanti posizioni quasi opposte e pertanto complementari in un dittico noir, perverso ed assurdo che si può amare o odiare, ma che non può lasciare indifferenti.
Richard Lafargue è un famoso e rispettato chirurgo plastico: chi è allora la donna che tiene prigioniera in un attico all'interno della sua proprietà?
Nel libro Jonquet ci racconta di come l'uomo si faccia accompagnare in giro dalla ragazza, Eve, mostrandola orgoglioso, quasi come un trofeo, per poi obbligarla la notte a prostituirsi, prima nei parchi pubblici e più tardi in un appartamento dove clienti sadici abusano di lei mentre il medico osserva con gioia dalla stanza accanto. Di tanto in tanto i due vanno insieme a trovare Vivianne, la figlia di Lafargue, rinchiusa in un ospedale psichiatrico.
Seguiamo poi la storia di Vincent, un ragazzo rapito da un uomo misterioso e tenuto segregato in una cantina, nudo e incatenato. Dopo averlo lasciato a lungo a patire la fame, il carceriere, che Vincent ha preso a chiamare Tarantola, inizia a portargli del cibo: col tempo arrivano anche i vestiti ed i confort, le brevi visite di Tarantola si allungano e Vincent inizia ad abituarsi a quella vita, accettando di diventare un animale da compagnia e cercando l'affetto del proprio padrone. Per compiacerlo accetta le strane attenzioni dell'uomo, non oppone resistenza alle punture sempre più frequenti e agli insoliti cambiamenti che giorno dopo giorno nota nel suo corpo.
E' a questo punto che le due storie si ricongiungono: scopriamo, infatti, che una notte di tanti anni prima Vincent aveva violentato una ragazza e che proprio quell'evento era la causa del rapimento. La ragazza era infatti Vivianne che, rimasta traumatizzata dall'accaduto, vive da allora chiusa in una clinica psichiatrica. Tarantola è Lafargue stesso, che per vendicarsi dell'accaduto, sfruttando le proprie conoscenze mediche, trasforma Vincent in una donna e lo annulla psicologicamente e fisicamente.
Un giorno però tutto cambia: mentre Eve/Vincent subisce l'ennesima violenza da un cliente, Lafargue scopre di non poter sopportare quello che le sta facendo e aggredisce l'uomo, salvandola.
Alla fine del libro Eve accetta di rimanere con Lafargue: le loro anime corrotte sono inscindibilmente unite e malgrado ciò che si sono fatti l'un l'altra o forse proprio a causa di questo, non possono che restare insieme.

Se il libro racconta il progressivo annullamento di Vincent e la sua accettazione del nuovo sé stesso nella forma di Eve, al contrario il film si configura come una riaffermazione dell'Io interiore nei confronti dell'apparenza.
Come già detto, le differenze tra le due opere sono molteplici: nel film Vincent non violenta Vivianne, ma Lafargue lo crede a causa di un malinteso.
Viene inoltre introdotta la storia della moglie suicida di Lafargue, causa prima della pazzia di Vivianne.
Con queste nuove premesse, il personaggio di Banderas, un dottore psicopatico che trasforma il presunto stupratore della figlia in un simulacro della moglie suicida, diviene la sola potenza negativa del film: un essere totalmente dedito all'esteriorità, che si presenta al pubblico annunciando che siamo ciò che appariamo e che il miglior modo di esorcizzare i nostri demoni interiori è correggendo l'aspetto esteriore. Ma proprio questa convinzione finirà per distruggerlo, facendolo innamorare del suo "esperimento" ed accecandolo a tal punto da non fargli notare ciò che la ragazza prova realmente.

E' la vittoria della mente sull'apparenza: Vincent è un uomo che si ritrova ad abitare in una "pelle" non sua; privato della propria virilità, viene visto dal mondo esterno come una bella ragazza ed è proprio sfruttando il suo aspetto che riuscirà infine ad uccidere Lafargue e a tornare a casa.
Il finale, nel quale Vincent torna dalla madre nei nuovi panni di Eve e cerca di convincerla di essere veramente lui, ci mostra comunque l'importanza dell'aspetto esteriore, una barriera che a volte ci impedisce di capire veramente chi abbiamo davanti.


VOTO: 8

venerdì 20 luglio 2012

Una vecchia sfida...

20.7.12

Un ciuffo d'erba sparuto, vigoroso nella sua fragilità, sopravviveva nel campo ormai sterile: il suo verde vivo, imperlato da un'esplosione di gocce di rugiada, contrastava con la desolazione che lo circondava.
Erano appena dieci fili, simili ad una ciocca ribelle e arruffata, all'intreccio di una tela appena iniziata a tessere o di un sudario finito e disfatto, in attesa del ritorno del proprio amato.
Di quando in quando una macchina passava, smuovendo l'aria stantia e il ciuffo d'erba di piegava per un attimo in un cortese inchino.
Mi ritrovai a domandarmi cosa fosse un filo d'erba: un essere vivente? Una cosa? Può, a suo modo, pensare? Può provare emozioni?
Chissà come dev'essere rendersi conto di essere i soli rimasti della propria specie: essere consci della propria caducità e dell'inevitabile incombere del proprio destino fatale. Sarebbe giunto, inaspettato ed improvviso, nella forma di un gatto giocherellone? Una scarpa indifferente? Una spietata macchina falciatrice?
E nonostante tutto resistere, fieri ed eretti contro le intemperie e senza un lamento andare incontro al proprio fato, accettandolo incondizionatamente.
Mi alzai diretto al capanno, deciso a riprendere in mano gli attrezzi del lavoro. Il campo sarebbe fiorito di nuovo: non avevo più dubbi.
Strano pensare come quei dieci deboli fili mi avessero ritemprato l'animo.

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Come dice il titolo del post, stasera mi sono messo alla prova, accettando una vecchia sfida. Un giorno di tanti anni fa, mia madre mi raccontò di come la sua maestra delle medie aveva sgridato la classe per la povertà dei loro scritti: "Non riuscite a scrivere un tema decente, quando io se volessi potrei farne uno su un filo d'erba" aveva detto, o quantomeno queste sono le parole che mi sono state tramandate in una sorta di generazionale gioco del telefono senza fili.
Una sfida che da allora ha aleggiato in qualche modo nella mia mente: scrivere un tema su un filo d'erba. Sarei mai stato in grado di farlo?
Il tentativo di stasera è la prova che... no, ancora non rientra tra le mie facoltà. Prima o poi ci riproverò.
Alla prossima.

Mike

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