Erano appena dieci fili, simili ad una ciocca ribelle e arruffata, all'intreccio di una tela appena iniziata a tessere o di un sudario finito e disfatto, in attesa del ritorno del proprio amato.
Di quando in quando una macchina passava, smuovendo l'aria stantia e il ciuffo d'erba di piegava per un attimo in un cortese inchino.
Mi ritrovai a domandarmi cosa fosse un filo d'erba: un essere vivente? Una cosa? Può, a suo modo, pensare? Può provare emozioni?
Chissà come dev'essere rendersi conto di essere i soli rimasti della propria specie: essere consci della propria caducità e dell'inevitabile incombere del proprio destino fatale. Sarebbe giunto, inaspettato ed improvviso, nella forma di un gatto giocherellone? Una scarpa indifferente? Una spietata macchina falciatrice?
E nonostante tutto resistere, fieri ed eretti contro le intemperie e senza un lamento andare incontro al proprio fato, accettandolo incondizionatamente.
Mi alzai diretto al capanno, deciso a riprendere in mano gli attrezzi del lavoro. Il campo sarebbe fiorito di nuovo: non avevo più dubbi.
Strano pensare come quei dieci deboli fili mi avessero ritemprato l'animo.
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Come dice il titolo del post, stasera mi sono messo alla prova, accettando una vecchia sfida. Un giorno di tanti anni fa, mia madre mi raccontò di come la sua maestra delle medie aveva sgridato la classe per la povertà dei loro scritti: "Non riuscite a scrivere un tema decente, quando io se volessi potrei farne uno su un filo d'erba" aveva detto, o quantomeno queste sono le parole che mi sono state tramandate in una sorta di generazionale gioco del telefono senza fili.
Una sfida che da allora ha aleggiato in qualche modo nella mia mente: scrivere un tema su un filo d'erba. Sarei mai stato in grado di farlo?
Il tentativo di stasera è la prova che... no, ancora non rientra tra le mie facoltà. Prima o poi ci riproverò.
Alla prossima.
Mike
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