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domenica 1 luglio 2018

Alcune cose che ho imparato nell'ultimo anno

1.7.18

Una volta una persona alla quale volevo bene mi disse che aggiornare questo blog come una sorta di diario personale delle cose che mi accadono nella vita è un modo infantile di portarlo avanti.
Forse aveva ragione, ma dato che è un anno che non scrivo su queste pagine, ci sono alcune cose che ho l'esigenza di buttare fuori e fissarle su questo blog che, pur saltuariamente, mi ha visto crescere e cambiare negli ultimi otto anni, mi sembra una buona idea.
Il miglior riassunto di tutto ciò che ho imparato nell'ultimo anno potrebbe essere una pagina bianca: tabula rasa. E' così che ti senti quando tutto ciò che credevi essere stabile e fuori questione nella tua vita scompare all'improvviso, facendo crollare anni di progetti, sogni e certezze.
Eppure qualcosa è rimasto: la sicurezza del fatto che l'unico modo per stare bene insieme a qualcuno è quello di stare innanzitutto bene con sé stessi, la voglia di dare importanza alle persone alle quali tieni e di sentire di essere fondamentale per loro quanto loro lo sono per te, la decisione nel non accettare di essere trattato come una sorta di scarto, qualcosa da dare per scontato e sempre pronto all'uso al momento del bisogno.
Dare importanza alle persone non significa però necessariamente essere una presenza costante e appiccicosa, anzi: significa esserci nel momento del bisogno, rispettando però gli spazi altrui. Significa sapere di poter contare sull'altro senza che questi ti debba rinfacciare quanto tempo è passato dall'ultima volta in cui ti sei fatto vivo.
Ho capito, o meglio ho avuto conferma della principale differenza tra amicizia e amore: la prima, quando è vera, sopravvive al tempo e alla distanza, la seconda ha bisogno di cura, di gesti, di attenzioni che devono esserci in parte anche nell'amicizia, ma che in una relazione non possono mai essere dati per scontato.
Non so se quello che ho scritto abbia un qualche senso, o se appaia come una sorta di accozzaglia di banalità e a dire il vero non mi interessa nemmeno particolarmente che venga letto: è più che altro una sorta di flusso di coscienza di un momento strano della mia vita, scritto durante un periodo di merda della mia vita durato oltre quattro mesi e che sembra ormai essere quasi al termine.
Vorrei tanto poter dire che quello che ho imparato in quest'anno è che da soli si sta meglio e che il segreto per non stare male è non costruire piani per il futuro, non sognando una vita accanto alla persona che si ha accanto solo per non vedere tutto disintegrarsi come sabbia all'improvviso se le cose non andassero. Probabilmente sarebbe una buona ricetta per non stare male, è vero.
Il fatto è che la cosa più importante che ho scoperto quest'anno è che non mi interessa non stare male, chiudendomi in una apatia che nella mancanza di obiettivi e sogni non ti faccia sentire il dolore della loro perdita.
Io voglio stare bene e allora non vedo l'ora di ricominciare tutto da capo: prendere una mano nella mia, abbracciare, baciare, pianificare e sognare. E se ci sarà nuovamente da soffrire va bene così, perché se non si sta male dopo che si è perso qualcosa, significa che per te quella cosa non era in fondo così importante.

P.S. visto che di banalità ne avevo dette poche... ma quanto è bastarda la musica? E quella strana masochistica voglia di ascoltare sempre le canzoni che sai che dovresti evitare? Vabbè...

lunedì 31 luglio 2017

Sulla musica, la depressione e le cuffie alle orecchie...

31.7.17

Gli anni del liceo sono stati per me un periodo duro, fatto di depressione, solitudine e scelte sbagliate. Sono stati però anche gli anni nei quali ho scoperto la musica rock e mi sono innamorato delle band che di lì in poi avrebbero composto la colonna sonora della mia vita.
Band come i Muse, i White Stripes, i Linkin Park e tante altre che quotidianamente mi accompagnavano nell'insensato trascinarmi per il mondo che era la mia vita. Io ero il ragazzo con le cuffie perennemente alle orecchie, quello che non parlava mai e che quando lo faceva manteneva la voce bassa, pensando che la sua opinione non contasse e che ci fossero persone più capaci di lui, più degne di essere ascoltate.
Era l'inizio degli anni duemila, il periodo del new metal e delle superband come i Velvet Revolver e gli Audioslave, soprattutto degli Audioslave, grazie ai quali il me quattordicenne aveva scoperto l'incredibile voce di Chris Cornell e la potenza dei Rage Against the Machine.
La musica per me era tutto, l'unica cosa che mi dava la forza di andare avanti in una vita della quale non capivo il senso e nella quale mi sentivo costantemente fuori posto.
Mio padre mi dava 5 euro di paghetta settimanale, ma io non li usavo mai per mangiare: li mettevo da parte e a fine mese andavo al Super Disco, il negozio di musica del centro, dove con i miei preziosi venti euro risparmiati acquistavo un nuovo album che prontamente inserivo nel mio lettore CD portatile.
Ricordo ancora il giorno in cui acquistai Meteora, il secondo album dei Linkin Park: era un giorno di assemblea studentesca, uno di quelli nei quali alle dieci eri fuori e avevi la mattinata libera. Il problema in giornate come quella era che c'era un unico autobus che arrivava fino a casa mia e passava solo e unicamente alle 13: così dopo aver fatto la strada verso il centro con alcuni compagni di corso, ero andato al Super Disco, avevo acquistato il nuovo CD e mi ero incamminato verso casa. Ci volle circa un'ora e mezza ad arrivare e nel frattempo ero riuscito ad ascoltare l'album per ben tre volte (era abbastanza breve) e ad imparare molte delle nuove canzoni.

Tutto questo preambolo per far capire che colpo siano state per me le morti di Chris Cornell e di Chester Bennington. Chris se n'è andato il giorno del mio compleanno, qualche mese fa, mentre Chester è scomparso da appena una settimana.
È facile dire "sono rockstar, non le conoscevi veramente" e liquidare il loro suicidio come l'incomprensibile gesto di una persona che non apprezzava tutto quello che aveva attorno. Troppo facile per chi non ha mai sbattuto la testa contro il muro, gridando e piangendo durante la notte, sperando di non svegliarsi. Troppo facile per chi non sa chi c'era in quelle notti senza sonno, quando solo certe canzoni riuscivano a tranquillizzarti perché sembravano parlare a te, esorcizzando i tuoi demoni.
Ne ricordo una in particolare, "Waiting for the end": era passato qualche anno dalla fine del liceo, dal vuoto completo del quinto anno e dal maledetto 2007 e dopo un periodo di relativa calma dove le cose per un attimo erano sembrate migliorare, tutto era cominciato a crollare di nuovo. Una frase di quella canzone parlava direttamente a me. I know what it takes to move on, I know how it feels to lie, All I wanna do is trade this life for somethin' new, holding on to what I haven't got.
Ed era proprio così che mi sentivo: intrappolato in una vita che non volevo, ma dalla quale sembrava impossibile scappare. Sapevo cosa volevo. Sapevo cosa mi serviva per andare avanti. Solo che non trovavo la strada per rendere realtà quei sogni che custodivo nel mio cuore e che sembravano irraggiungibili.
Non so quante volte ho cantato questa canzone. Quante volte ho pianto ascoltandola. Quello che so è che molte volte mi ha dato la forza di andare avanti nonostante tutto. Quello che so è che io sono ancora qui.
Sono passati tanti anni da quel periodo: adesso sono un'altra persona. Una persona che riesce a vivere attivamente la propria vita, fatta di piccoli sogni e grandi difficoltà, di progetti, ma soprattuto di amore e di affetti che prima non riuscivo a vedere né a intercettare. Sono riuscito a intraprendere la strada che avevo nella mia testa e, pur avendo perso tanti anni lungo il percorso, sono deciso ad andare avanti verso il mio obiettivo.
Ma non dimentico il passato e sapere che persone come Chris e Chester non ci sono più fa male. Non tanto per la morte in sé, ma per il modo in cui se ne sono andati, divorati da un male più forte di ogni amore.
Come eroici soldati che hanno teso la mano a tante anime perdute, per poi morire soli sul campo di battaglia.

mercoledì 17 maggio 2017

Avere trent'anni

17.5.17

Alla fine è successo. Doveva succedere. Da un certo punto di vista è bene che sia successo, perché il tempo scorre inesorabilmente e l'unica alternativa per fermarlo, non potendo io ambire ad essere Peter Pan, sarebbe stata ben peggiore.
D'altronde, come diceva Max Pezzali, "il tempo passa per tutti noi sai, nessuno indietro non ritornerà, neppure noi".
E quindi si, oggi compio trent'anni. Trent'anni, lo ripeto perché sia ben chiaro a me stesso: trenta fottuti anni. Far finta di nulla non cambierà le cose.
Cosa ho imparato in tutto questo tempo?
Nulla è la prima risposta che mi viene in mente e, in fondo, non ci farei neppure una brutta figura. In fondo non è stato Socrate il primo a dire: "so di non sapere"?
L'ho sempre trovata una frase illuminante, un monito a farsi continuamente delle domande, senza perdere la voglia di porsele ed evitando l'illusione di avere la chiave per comprendere ogni cosa: una spinta ad essere sempre curioso, non perdendo mai l'occasione per imparare qualcosa di nuovo.

Da personcina seria e organizzata quale sono,
mi son fatto anche il loghetto!!!
Al di là di tutto però finisce comunque che si invecchia e se c'è qualcosa che si impara è a conoscere sé stessi. E allora ho pensato bene di iniziare una piccola serie di post-confessione nei quali racconterò ciò che ho capito di me stesso in questi primi trent'anni di forzata convivenza. Così, giusto perché non posso permettermi lo psicanalista.

Come sempre in questi casi la "rubrica" non avrà cadenza fissa perché sennò mi viene l'ansia e finisce che non scrivo nulla. Comunque cercherò di essere più regolare del solito. Ma senza crederci troppo che sennò diventa un proposito per i trent'anni e si sa che i propositi son fatti per essere enunciati e velocemente dimenticati.
Insomma, ci sentiamo la prossima volta che mi viene voglia.
E ora scusatemi ma vado ad invecchiare!





martedì 9 maggio 2017

Sugli obiettivi e sui traguardi

9.5.17

E cosi ci risiamo: un altro capitolo della mia vita si è concluso. Uno dei più belli. Il 18 aprile, ormai tre settimane fa, mi sono laureato in Scienze Umanistiche per la Comunicazione.
Ma come sempre non c'è tempo per riposare sugli allori (nemmeno con la corona di alloro sul capo) e quindi l'unica cosa da fare è voltare pagina e ricominciare.
Darsi nuovi obiettivi, nuovi traguardi, senza mai accontentarsi, senza perdere la fame. Fame di successi, di conoscenza, di vita.
Quando undici anni fa abbandonai gli studi in lacrime col proposito di mettere da parte i soldi per ricominciare non credevo ce l'avrei fatta veramente. Quanti problemi, quante tentazioni mi hanno allontanato da quell'obiettivo.
Quante volte sono stato ad un passo dal desistere. Eppure alla fine ce l'ho fatta. Dopo sette lunghissimi anni sono tornato in un'aula e quello che ho scoperto è che non
ero più il diciannovenne che non vedeva un senso nella propria vita e che sopravviveva ai margini di un mondo liceale che credeva lo respingesse (quando in realtà, seppur inconsciamente, era lui spesso a restarne fuori, isolandosi in un mondo fatto di musica e racconti). E non ero nemmeno più quel ragazzo a cui bastava oltrepassare i piccoli ostacoli scolastici (al tempo apparentemente insormontabili) approfittando di ogni mezzuccio e accontentandosi di andare avanti col minimo sforzo possibile.

In qualche modo quegli anni lontano dalla scuola sono stati tra i più formativi della mia vita. Non me ne sono accorto subito, anzi, eppure quando sono tornato all'università ho capito che era cambiato tutto.
Sarà stato il lavoro, che costringendomi a stare sempre a contatto con le persone mi ha aiutato ad aprirmi verso il prossimo, ma piano piano mi sono costruito un gruppo affiatato di amici che è rimasto legato a prescindere dagli impegni universitari e che spero rimanga tale nel tempo.
Saranno stati quei sette anni passati con quell'obiettivo fisso nel cervello, ma non riuscivo più ad accontentarmi del minimo: iniziato il mio percorso a Firenze ho sempre puntato al massimo, senza mai accontentarmi, dando anima e corpo per quella triennale che per molti può sembrare un piccolo traguardo, ma che nella mia storia personale è il coronamento di dieci anni di sacrifici.
E ora che anche questo traguardo è raggiunto cosa fare? Si va avanti, verso nuovi obiettivi, senza mai fermarsi. È il momento di lasciare il comodo ovile di casa verso una nuova città, verso una specialistica che dia un senso al cammino intrapreso. Perché dopo anni di strade secondarie e dissestate sono tornato sulla via principale. E nessuno può più fermarmi.


Un sentito grazie a tutti gli amici e familiari che sono venuti a Firenze per festeggiare insieme a me :)


sabato 8 aprile 2017

La svolta

8.4.17

Ci sono momenti nella vita di una persona che hanno tutti i caratteri della svolta: improvvisamente tutto cambia, dalle piccole cose alle più grandi e ti rendi conto che un momento della tua vita è finito e che sta per cominciare qualcosa di totalmente nuovo.
Questo è il periodo che sto vivendo negli ultimi mesi: terminate le lezioni universitarie, ormai ad appena due settimane dalla discussione della tesi e con un trasferimento a Bologna da programmare, sto vivendo questi giorni come in una sorta di animazione sospesa, in un limbo tra la mia vecchia vita e la nuova. Intanto ho detto addio alla mia cara vecchia Ka, macchina compagna di mille avventure, e dato il benvenuto a una nuova macchina: altro segno di grande cambiamento.

Finita la tesi, uno scritto di 74 pagine inerente la comunicazione pubblicitaria di Apple, ho deciso di rimettermi finalmente a scrivere: a darmi lo spunto iniziale è stato un concorso qui nella zona di Pistoia che mi ha spinto a creare un brevissimo racconto di appena quattro pagine (quella era la lunghezza massima permessa dal regolamento) chiamato "Il perdono".
Non contento sono tornato alla carica su "THe iNCIPIT", piattaforma che avevo provato ad utilizzare già alcuni anni fa (con l'esperimento tutt'altro che riuscito di un racconto di fantascienza dal nome "L'Ultima Ora") e che permette di scrivere brevi racconti nei quali sono i lettori a votare e decidere effettivamente come far evolvere la trama. Il racconto che ho iniziato a scrivere si chiama "Il risveglio del signor Morrazzi" e parla di un uomo che si sveglia al mattino consapevole di non essere una persona, ma il personaggio di un racconto. Si tratta di un esperimento molto nuovo per me, contraddistinto da un approccio molto diverso alla narrazione da quello che utilizzo di solito: spero che vi piaccia e che abbia maggior successo rispetto al mio precedente tentativo. Se volete leggerlo e votare potete trovarlo a questo indirizzo.

Per il momento è veramente tutto. Come sempre chiudo con la speranza di ricordarmi dell'esistenza di questo blog per tornare a scriverci al più presto e di non pensarci sempre e solo quando mi arriva la mail da Google per il pagamento della quota annuale del dominio.
Alla prossima!

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